IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Ha emesso, dandone lettura all'udienza del 15 novembre 1996, la seguente ordinanza nel procedimento penale nei confronti di Santucci Secondo, nato a Pieve Torina (Macerata) il 29 gennaio 1915, residente in Pisa, elettivamente domiciliato presso il difensore, avv. Simone Fiorini con studio in Pisa via S. Paolo n. 19; imputato: 1) del reato di cui agli artt. 110 c.p., 7 e 20 lett. b) legge 28 febbraio 1985 n. 47 per avere, quale proprietario e promittente la vendita dell'immobile posto in Pisa, p. Donati n. 4, committente dei lavori, in concorso con Bertini Vincenzo promittente l'acquisto (giudicato separatamente), eseguito la suddivisione in tre appartamenti dell'unico appartamento preesistente nel detto edificio in p. Donati n. 4, di sua proprieta', e la creazione di tre distinte unita' abitative in luogo di una, in assenza della necessaria concessione edilizia. Fatto commesso in Pisa sino alla fine del 1993; 2) del reato di cui agli artt. 110 c.p., 483 c.p., 61 n. 2 c.p. per avere, in concorso con Bertini Vincenzo (giudicato separatamente), falsamente attestato al comune di Pisa, mediante atto notorio presentato il 26 luglio 1991, costituito da un documento predisposto dallo stesso Bertini e firmato dal Santucci, che i lavori descritti al capo 1), con la creazione di tre distinte unita' immobiliari, erano avvenuti nel 1966, mentre essi erano ancora in corso al momento di presentazione dell'istanza, e che tali opere dovevano essere ritenute comprese nel condono edilizio gia' richiesto dal Santucci il 1 luglio 1986, agendo al fine di ottenere l'impunita' per il reato di cui al capo 1) mediante il rilascio di concessioni in sanatoria, effettivamente rilasciate dal comune di Pisa il 23 dicembre 1991 (e successivamente annullate, in data 25 novembre 1994). Fatto commesso in Pisa il 26 luglio 1991. M o t i v i Con riferimento ai reati rubricati l'imputato avanzava richiesta di applicazione di pena ai sensi dell'art. 444 c.p.p. in ordine alla quale il p.m. prestava il consenso. All'udienza del 24 ottobre 1995 il g.i.p. riteneva la richiesta meritevole di accoglimento e pronunciava sentenza nei termini proposti dalle parti. Il procuratore generale di Firenze presentava ricorso per Cassazione in data 2 novembre 1995 lamentando erronea applicazione della legge penale ed in particolare dell'art. 60 legge 24 novembre 1981 n. 689. Rilevava che, contestati i reati di cui agli artt. 483 c.p. e 7 e 20 lett. b) legge 28 febbraio 1985 n. 47 uniti da vincolo di continuazione ex art. 81 cpv. c.p., il g.i.p. aveva ritenuto applicabile la pena richiesta di mesi due di reclusione sostituita con lire 1.500.000 di multa ai sensi degli artt. 53 e ss. legge 24 gennaio 1981 n. 689; pur apparendo corretto considerare piu' grave il delitto previsto dal codice penale ed applicare quindi la continuazione per la contravvenzione edilizia, tuttavia ad avviso del p.g. ricorrente non era possibile, per contrasto con l'art. 60 legge 24 novembre 1981 n. 689, disporre la sostituzione della pena detentiva; cio' in quanto "e' ben vero che il reato continuato, per una fictio juris, e' reato unico, ma con riferimento all'aumento di pena in ordine alla violazione meno grave, quest'ultima conserva la sua originaria qualificazione giuridica"; conseguentemente non sarebbe stato possibile disporre la sostituzione ai sensi della legge n. 689/1981 stante il divieto di utilizzazione delle sanzioni sostitutive sancito dall'art. 60 in caso di reati previsti da leggi in materia edilizia ed urbanistica puniti, come nella specie, con pena detentiva congiunta a pena pecuniaria. Con sentenza resa all'udienza del 30 aprile 1996, la Corte di cassazione accoglieva il ricorso del p.g. condividendone l'impostazione giuridica e, annullata la sentenza, rinviava alla pretura per nuovo esame. Si disponeva pertanto nuova citazione dinanzi ad altro magistrato per l'udienza odierna in cui, alla luce del criterio dettato dalla Cassazione, deve valutarsi la richiesta di patteggiamento gia' a suo tempo avanzata dalle parti ed in ordine alla quale non e', allo stato, intervenuta alcuna modifica. Ritiene a questo punto il giudicante, in via preliminare, di dover sollevare d'ufficio questione di legittimita' costituzionale relativa all'art. 60 della legge 24 novembre 1981, n. 689 nella parte in cui esclude l'applicabilita' delle sanzioni sostitutive ai reati previsti dalle leggi in materia di edilizia ed urbanistica puniti con pena detentiva sola o congiunta a pena pecuniaria, e segnatamente quelli di cui all'art. 20 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, oggetto del presente giudizio, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione quale ormai ritenuto principio di ragionevolezza e razionalita' cui le norme ordinarie debbono ispirarsi. Non pare vi siano dubbi in ordine alla rilevanza della questione: laddove la Corte costituzionale dovesse ravvisare l'illegittimita' della disposizione citata, cio' costituirebbe fatto nuovo rispetto alla pronuncia della Cassazione con conseguente accoglibilita' della richiesta di applicazione di pena gia' formulata dalle parti e ritenuta non conforme alla legge. Quanto alla non manifesta infondatezza si osserva sinteticamente quanto segue. All'atto della introduzione del sistema delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi (art. 53 e seguenti della legge 24 novembre 1981, n. 689), il legislatore caratterizzo' il nuovo regime sanzionatorio con una serie di cautele che ne circoscriveva ampiamente il raggio di azione. Tra di esse appunto quella sancita dall'art. 60 che escludeva originariamente una serie di reati di competenza pretorile ritenuti, evidentemente alla luce di criteri di gravita' in allora stimati prevalenti, non meritevoli di una reazione sanzionatoria diversa e piu' mite rispetto alle ordinarie pene detentive e pecuniarie previste dal codice penale o in sede di leggi speciali, quali fra le altre le disposizioni a tutela dell'edilizia e dell'urbanistica. Non si deve in tal senso dimenticare che a fianco dell'art. 60 era stato posto l'art. 54 che, riservando l'utilizzazione delle sanzioni sostitutive ai soli reati di competenza del pretore, ne escludeva per implicito ed in termini assoluti l'irrogazione a fronte di reati di competenza del tribunale e della corte di assise. Nel corso del tempo le limitazioni previste dalla legge 24 novembre 1981, n. 689 all'atto della sua entrata in vigore hanno subito successive e progressive erosioni attraverso vari interventi. Non e' qui il caso di ripercorrere tale evoluzione ma e' sufficiente ricordare quale sia la situazione attuale: l'art. 54 della legge n. 689/1981 e' stato abrogato, aprendosi la possibilita' di applicare le sanzioni sostitutive anche ai reati di competenza del tribunale e della corte di assise; i limiti di pena sanciti originariamente dall'art. 53 della legge n. 689/1981 sono stati consistentemente elevati, consentendo l'utilizzazione delle sanzioni sostitutive in casi concreti e con riferimento a figure di reato rispetto alle quali precedentemente esse non trovavano spazio; alcune pronuncie della Corte costituzionale hanno preso atto che alcune esclusioni oggettive previste dall'art. 60 non rispondevano a criteri di ragionevolezza e contrastavano con l'art. 3 della Costituzione. In sostanza, se si eccettuano poche decine di reati i cui minimi edittali non rendono praticabile di fatto l'astratta applicabilita' di una sanzione sostitutiva, la quasi totalita' dei reati previsti dall'ordinamento penale, sia di competenza pretorile sia di competenza superiore, sono punibili in concreto con sanzioni sostitutive, grazie anche alle riduzioni di pena conseguibili con l'adozione del rito abbreviato e del patteggiamento cosi' come delineati dal nuovo codice di procedura penale. Rimangono inevitabilmente esclusi soltanto i reati di cui all'art. 60 citato. Cio' accade peraltro in virtu' di scelte normative che, se ragionevoli al tempo dell'introduzione del nuovo regime sanzionatorio, tuttavia non sembrano oggi mantenere intatta la loro originale razionalita'. Questa perdita di razionalita' emerge, ad avviso del g.i.p., in tutta la sua evidenza alla luce della modifica dell'art. 53 e della soppressione dell'art. 54 citati. Queste infatti, ad esempio nell'ambito dei delitti contro l'attivita' giudiziaria, hanno reso irrogabili le sanzioni sostitutive a reati originariamente esclusi (artt. 363, seconda ipotesi, artt. 368, 370, 371-bis, 374-is, 378, 379 e 382 del c.p.), laddove cio' continua ed essere inibito per i reati di cui agli artt. 371, 372 e 373 c.p. (l'innalzamento di pena disposto per l'art. 372 c.p. con l'art. 11, comma 2, del decreto-legge n. 306/1992, convertito, con la legge n. 356/1992 non sembra in tal senso decisivo rimanendo comunque la stessa inferiore a quella di cui all'art. 382 c.p. ed uguale a quella prevista dall'art. 368 c.p.). Per quel che piu' da vicino concerne i reati in materia di edilizia ed urbanistica deve notarsi in primo luogo che trattandosi di reati contravvenzionali mal si comprende a questo punto perche' siano esclusi dal regime sanzionatorio piu' mite a fronte di tutti i delitti anche di competenza del tribunale cui esso e' applicabile e che sono posti a tutela di beni parimenti fondamentali e generali come la fede pubblica, l'industria, il commercio e, come si e' visto, l'amministrazione della giustizia. Inoltre proprio la Corte costituzionale, nel riconosce la irragionevolezza dell'inclusione nell'art. 60 citato della legge n. 319/1976 in relazione al fatto che numerose altre normative in materia ambientale - prima fra tutte quelle in tema di rifiuti, ma anche quelle a tutela della qualita' dell'aria ed altre di piu' recente introduzione -, ha in sostanza chiarito che non possono sussistere evidenti e clamorose disparita' - e non semplici differenze - di trattamento penale rispetto a comportamenti che incidono sui medesimi beni giuridici (sentenza della Corte costituzionale n. 254/1994). In tal senso, ad avviso del giudicante, il territorio, il paesaggio, l'assetto idrogeologico e piu' in generale le c.d. zone di particolare interesse ambientale protette sotto il profilo edilizio ed urbanistico (v. in particolare il d.-l. 27 giugno 1985, n. 312 convertito con legge 8 agosto 1985, n. 431), rappresentano il medesimo insieme di beni tutelati dalle normative che tendono a regolare, limitare e reprimere il fenomeno dell'inquinamento. Conseguentemente appare inspiegabile - e sotto il profilo dell'art. 3 della Costituzione irrazionale - che il trattamento sanzionatorio previsto dalle normative in materia edilizia e urbanistica, destinate comunque alla tutela degli stessi beni ancorche' aggrediti in forme diverse, sia piu' rigoroso di quello sancito in materia di inquinamento, segnatamente non essendo consentito il ricorso a sanzioni sostitutive in caso di reati puniti con la detenzione sola o congiunta alla pena pecuniaria. Ne' soccorre a giustificare la permanenza di tale scelta la natura dei reati - tutti di rango contravvenzionale -, l'entita' delle sanzioni previste - un raffronto tra le varie ipotesi evidenzia una chiara omogeneita' di trattamento in via edittale - ovvero i presupposti normativi delle fattispecie - generalmente impostati sul rapporto intercorrente tra le potesta' della pubblica amministrazione ed i comportamenti dei singoli consociati. Peraltro non si puo' sottacere come si appalesi un ulteriore contrasto con criteri logici e razionali, anche quando si consideri che proprio le normative in materia di edilizia ed urbanistica sono state oggetto di ripetuti interventi speciali di condono in forme piu' o meno ampie, laddove l'integrita' del territorio e' stata a piu' riprese oggetto di scambio economico tra lo Stato ed il cittadino autore dell'abuso, scambio finalizzato e giustificato dal perseguimento del risanamento finanziario dell'erario. Alla luce di queste considerazioni, che costituiscono ovviamente mero spunto di riflessione per una valutazione di non manifesta infondatezza, ritiene il g.i.p. che sussistano gli estremi per sottoporre all'attenzione della Corte costituzionale l'art. 60 della legge 24 novembre 1981, n. 689 nella parte in cui esclude dall'applicabilita' delle sanzioni sostitutive le leggi in materia urbanistica ed edilizia, ed in particolare l'art. 20 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione in virtu' di sopravvenuta irragionevolezza ed irrazionalita' dei criteri in base ai quali ne venne originariamente sancita l'esclusione. Piu' in generale si ritiene l'intero art. 60 citato gravato da dubbio di costituzionalita' in riferimento al medesimo art. 3 della Costituzione e per le stesse ragioni: ma tale dubbio non potrebbe che essere oggetto di autonoma attenzione della Corte ai sensi dell'art. 27 della legge n. 87/1953.